Il pigreco indica il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro e, per semplicità, è approssimato a 3,14 che corrisponde alla data del 14 marzo scritto con il sistema anglosassone.
Attualmente il valore più alto di cifre calcolate è pari a 68,2 trilioni (scala corta) di cifre. Il team che si è impegnato a svolgere questo calcolo appartiene all’Università di Scienze Applicate di Graubunden in Svizzera. I ricercatori hanno impiegato 108 giorni e 9 ore per completare l’operazione…
Poichè PIGRECO è presente in molte leggi della fisica che ci circondano (Principio di Indeterminazione di Heisenberg, Legge di Coulomb, moto oscillatorio, flusso del campo gravitazionale,…), questa costante matematica regola le oscillazioni dei fenomeni fisici, che hanno frequenze definite da funzioni periodiche in cui la presenza del pigreco è fondamentale. Un errore nel calcolo, dovuto anche banalmemte a una sua errata approssimazione, può portare a risultati catastrofici come si può vedere nel video sotto riportato
Negli ultimi giorni si è parlato molto del Titan e della sua tragedia che ha portato alla morte di 5 persone. Come sempre, del senno di poi sono piene le fosse e se ne sono sentite di ogni. I giornalisti (o giornalai?) si sono scatenati alla ricerca di chiunque per un’opinione e tra questi è saltato fuori James Cameron, professione regista, che ha detto la sua qui. In particolare afferma che
Non ho mai creduto in quella tecnologia di fibra al carbonio avvolta, di filamento avvolto, di scafo cilindrico
LA FIBRA DI CARBONIO
La fibra di carbonio è un polimero di soli atomi atomi di carbonio che si presenta in sottilissimi fili che vanno da 5 a 15 micron.
La fibra di carbonio è come un tessuto e quindi non riesce a mantenere una forma precisa ma, impregnandola in apposite resine prima e polimerizzando il tutto poi, si ottiene un manufatto con la forma voluta. Una volta completato il processo si ha un materiale con una massa volumica circa un quarto dell’acciaio (2200 kg/m3 contro 7850 kg/m3) ma con caratteristiche meccaniche doppie (resistenza a trazione a partire da 2000MPa contro i gli 800/1000MPa degli acciai più comuni).
Una delle differenze principali del composito a fibra di carbonio rispetto all’acciaio è quello di avere un comportamento anisotropo cioè reagisce alle sollecitazioni in maniera differente in base a come viene caricato. Questo è dovuto all’orientamento della trama dei filamementi, ragion per cui deve essere accuratamente studiato in fase di progettazione per garantire le prestazioni meccaniche desiderate.
Altra grossa differenza rispetto agli acciai comuni è la sua elevata resistenza agli agenti chimici pertanto la sua ossidazione è nulla in ambiente marino (dove, al contrario, gli acciai sono nella fossa dei leoni…) e la sua scarsa conduttività termica.
Il composito in fibra di carbonio è utilizzato nel settore aerospace da Boeing e da Airbus che hanno realizzato rispettivamente il 787 e A350XWB con fusoliera e parti strutturali in composito e senza rivettature. Nel settore automotive da tempo le vetture di formula 1 e le moto da competizione hanno parti in carbonio. Addirittura Alfa Romeo ha realizzato sulla 4C un telaio monoscocca in composito con massa di soli 65kg!
IL FENOMENO DELLA FATICA
Uno dei problemi che affligge tutti i materiali è quello della fatica. Per capire questo fenomeno basta prendere un fermaglio e piegarlo più volte: dopo un certo numero di “cicli” si rompe.
Questo avviene perchè il materiale, sottoposto a cicli di lavoro, degrada le sue caratteristiche meccaniche per giungere a rottura a carichi ben inferiori a quelli teorici. Questo fenomeno venne studiato quando, verso la fine dell’800, si presentarono delle inspiegabili rotture sugli assili ferroviari con le catastrofiche conseguenzale che ne derivavano. Pertanto la progettazione degli organi meccanici che sono sottoposti a cicli di lavoro viene effettuata sempre a fatica dove il carico di rottura teorico del materiale, per effetto della fatica, diventa anche inferiore a 1/10 di quello statico. Ma perchè si verifica questo fenomeno?
Il materiale subisce localmente delle sollecitazioni superiori a quelle in grado di supportare e si danneggia. Da li si innesca il fenomeno che, dopo milioni di cicli, porta alla rottura del componente.
Per sapere qual’è il limite si costruisce la curva di Wholer o curva S-N: questa è derivata da test di fatica ad alto numero di cicli applicando un carico ad ampiezza costante (secondo la DIN 50100), ed è divisa in aree: fatica a basso numero di cicli K, vita a fatica finita Z e fatica ad alto numero di cicli D . Le tre aree sono limitate dai numeri di cicli N.
Fatica a basso numero di cicli, 100-30.000 cicli: la fatica a basso numero di cicli K è al di sotto dei 104 – 105 cicli di carico. La resistenza alla fatica a basso numero di cicli viene determinata con la prova di fatica a basso numero di cicli (LCF). I materiali ed i componenti sono sollecitati al punto che durante il ciclo si verificano deformazioni plastiche e il materiale cede in fase iniziale. Per una rappresentazione più dettagliata, spesso viene utilizzato il modello Coffin-Manson. Un carico che porta alla rottura del provino entro un quarto dei cicli, viene definito come resistenza statica, determinata anche con una prova di trazione.
Vita a fatica finita, 2.000.000 cicli circa: la vita a fatica finita Z è l’intervallo tra 104 e 2×106 cicli (a seconda del materiale), dove il provino raggiunge sempre una condizione di criterio di cedimento (per esempio cricca o rottura). La resistenza a fatica a vita finita viene determinata con la prova di fatica ad alto numero di cicli (HCF). Dopo la prova, il risultato è il numero di cicli di carico ad una determinata ampiezza di carico.
Fatica ad alto numero di cicli, cicli infiniti: la fatica ad alto numero di cicli D indica il limite di tensione che un materiale può sopportare durante il carico ciclico senza significativi segni di fatica o cedimento. Nell’area della fatica ad alto numero di cicli, si stabilisce un numero limitato di cicli NG . Se il provino non resiste prima di raggiungere questo numero limitato di cicli, viene considerato come “cedimento”. I materiali che, durante una prova di fatica ad alto numero di cicli, sopportano più di 1.000.000 di cicli senza rottura sono considerati resistenti alla fatica. Il concetto di fatica ad alto numero di cicli comporta sollecitazioni ammissibili significativamente inferiori rispetto al concetto statico.
Negli organi di macchina e più generalemente nelle strutture spesso i parametri di forma, le tipologie dei vincoli le forme di applicazione dei carichi sono diversi da quelli ipotizzati. Sotto queste nuove condizioni nascono delle concentrazioni locali di sforzo che costituiscono l’ effetto d’intaglio o di forma. per fare qualche esempio influiscono
i fori su piastre o dischi;
le saldature;
le cave per chiavette;
gli accoppiamenti forzati;
le filettature;
le gole;
Un esempio disastroso della scarsa conoscenza di questo fenomeno fu il comet, primo aereo di linea commerciale pressurizzato costruito attorno agli anni ’50 e che subì una serie di incidenti a distanza ravvicinata ovvero in meno di 2 anni dalla presentazione subì 3 incidenti con 99 vittime che portarono le autorità alla revoca della licenza di volo. Come tutti i disastri ovviamente partirono le indagini e per tentare di capire le cause di questi incidenti decisero di effettuare dei test di pressurizzazione delle fusoliere per i modelli esistenti mediante un enorme serbatoio d’acqua. il risultato fu che rispetto ai 16000 cicli di progetto la fusoliera presentava cedimento a fatica dopo poche migliaia se non addirittura centinaia di cicli.
L’eccessiva pressurizzazione della fusoliera provocò lo snervamento del materiale in prossimità degli angoli dei finestrini a forma quadrangolare, i quali rappresentavano delle zone di concentrazione degli sforzi. Lo snervamento degli angoli comportava l’incrudimento del materiale, ovvero il rafforzamento che si ha in presenza di una deformazione plastica (permanente), e di conseguenza un miglioramento delle sue proprietà meccaniche, fra cui anche la resistenza a fatica. Questo processo di rafforzamento per snervamento da sovrapressione prende il nome di autofrettage e viene utilizzato consapevolmente tutt’ora per migliorare la resistenza meccanica statica e a fatica di contenitori in pressione. Grazie alle verifiche condotte in seguito agli incidenti si determinò che la cricca generata dalla sollecitazione a fatica cresceva preferenzialmente a partire dagli angoli dei finestrini di forma quadrangolare che caratterizzavano il Comet. Questo accadeva perché la forma squadrata del finestrino aumentava l’effetto di concentrazione degli sforzi dovuti alla presenza stessa del finestrino nella fusoliera.
Ad oggi, il problema è stato risolto arrotondando la forma dei finestrini per ridurre l’effetto di concentrazione degli sforzi in modo da sfavorire la nucleazione di cricche.
FATICA NEI COMPOSITI
Similmente a quanto avviene nei materiali metallici, l’applicazione ad un composito di carichi variabili ciclicamente può dar luogo a rottura anche quando la massima sollecitazione risulta inferiore alla resistenza statica del materiale (fatica). Nei compositi, similmente a quanto accade nei materiali isotropi, la rottura per fatica è una rottura progressiva che si manifesta con la formazione e propagazione di difetti. Il fenomeno è comunque ben più complesso di quello osservato nei materiali metallici e può essere causato da
scollamento fibra matrice (debonding);
fessurazione della matrice;
rottura della fibra;
scollamento delle lamine (delaminazione).
La resistenza a fatica dei materiali compositi dipende da vari fattori legati alla intima natura e struttura del materiale nonché alle particolari condizioni di sollecitazione ed ambientali. Fissate le caratteristiche delle fibre, la resistenza a fatica di un composito dipende essenzialmente da:
materiale della matrice;
orientamento delle fibre e sequenza di impacchettamento;
percentuale in volume di fibre;
adesione fibra-matrice;
tipologia di sollecitazione;
tensione media;
frequenza di applicazione del carico;
condizioni ambientali (umidità, corrosione ecc).
effetti di intaglio
L’IMPLOSIONE DEL TITAN
L’implosione è il fenomeno contrario all’esplosione: all’interno del corpo cavo, per diversi motivi, si viene a creare una pressione minore rispetto a quella esterna che farà si che il fluido esterno eserciterà una forza sulla superficie esterna del corpo, causando un collasso.
La superficie esterna del Titan era caricata, secondo la legge di Stevino (la pressione esercitata da un fluido incomprimibile a una profondità h è pari al prodotto della densità del liquido per l’accelerazione gravitazionale per la profondità stessa), a 3850m (la profondità del Titanic) da un carico statico pari a:
Oltre a questo vanno sommate le componenti dinamiche generate dalle correnti e dal movimento stesso dello scafo nel fluido.
Scoprire perchè è imploso senza poter analizzare i resti vuol dire restare solo nel campo delle ipotesi. Di sicuro possono aver giocato i fattori sopra riportati dovuti a una progettazione errata (non sono stati considerati alcune variabili e/o sono state sottistimate), non è stata fatta una accurata verifica dei materiali per prevenire fenomeni di fatica ma la cosa che più lascia perplessi è come il piccolo Titan abbia potuto effettuare attività commerciale in completa assenza di certificazioni, mettendo a rischio la vita di tutti i suoi passeggeri.
Negli ultimi tempi, si sente sempre più spesso parlare di IA, Intelligenza Artificiale.
L’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.
Il problema di qualsiasi computer, in condizioni normali, è comunque quello di prendere una decisione. Ne sa qualcosa IBM che, nonostante il computer dedicato al gioco degli scacchi Deep Blue perse la sfida contro Garri Kasparov.
La prima partita, disputata il 10 febbraio 1996, fu vinta dal computer ma Kasparov vinse la sfida con tre partite vinte e due patte. Dopo il match perso, Kasparov disse che alcune volte gli era parso di notare nelle mosse della macchina intelligenza e creatività così profonde da non riuscire a comprenderle. Inizialmento nel software di Deep Blue le funzioni di valutazione erano scritte in forma generale, con molti parametri da definire (per es.: quanto è importante una posizione sicura per il re in confronto a un vantaggio spaziale nel centro della scacchiera, ecc.). I valori ottimali per questi parametri furono poi determinati dal sistema stesso, analizzando migliaia di partite di campioni. Prima del secondo incontro, la conoscenza degli scacchi del programma era stata finemente migliorata dal gran maestro di scacchi Joel Benjamin mentre la lista delle aperture fu fornita dai campioni Miguel Illescas, John Fedorowicz e Nick De Firmian.
L’algoritmo per il gioco degli scacchi, scritto in linguaggio C che girava sotto un sistema operativo AIX, era in grado di calcolare 200 milioni di posizioni al secondo! Ma alla fine anche la macchina deve prendere una decisione: grazie a una trappola nelle mosse finali nella quale l’IA cadde per due volte Kasparov si aggiudicò i match.
Quindi il problema delle IA resta sempre questo: prendere una decisione. Se questa viene applicata ai veicoli come reagisce? Attualmente la IA di Google va in crisi con i ciclisti: Se questi si mettono in equilibrio sui pedali, il loro movimento per restare il equilibrio viene interpretato dalla AI come un movimento e quindi la macchina si arresta in attesa che il movimento percepito non ci sia più.
Ma se succedesse l’irreparabile come un animale che attraversa la strada o un pedone che non rispetta un segnale e la vettura, procedendo a velocità da codice della strada, non avesse sufficiente spazio di arresto? Colpisce il pedone o lo schiva impattando e mettendo a repentaglio la vita degli occupanti del veicolo?
Per rispondere a questi quesiti etici il MIT di Boston ha creato un piccolo sito chiamato Moral Machine. In base a una serie di scenari proposti si chiede al visitatore di decidere cosa dovrebbe fare l’IA del veicolo. Provate a decidere anche voi cliccando l’icona qui sotto
Uno di mezzi del Corpo Volontari Ambulanza è una vecchia Citroen DS “Squalo”.
Immatricolato per la precisione il 23/03/1975 dopo essere stata allestita da Currus in Francia e ovviamente dopo tanti interventi e salvato delle vite adesso si gode la sua meritata pensione gironzolando in raduni e rappresentanze come mezzo storico.
Al CVA è arrivata il 10/12/1986, acquista dal JRC di Ispra e reimmatricolata dopo aver subito un adeguamento dalla carrozzeria Saves per essere conforme alle leggi italiane.
Il design dell’auto ha qualcosa di italiano essendo stata concepita dal varesino Flaminio Bertoni, uno dei più grandi designer automobilistici. Con il suo motore 4 cilindri da 1985cm3 erogava 108cv e 147Nm che le permettevano di raggiungere i 170km/h grazie al cambio a 4 marce che era posizionato sul volante.
Una delle caratteristiche della vettura era il sistema idraulico che era comune a freno, frizione, sterzo e sospensioni.
Proprio il reparto sospensioni era uno dei suoi punti forti: ognuna era costituito da una sfera divisa orizzontalmente da una membrana: nella parte superiore vi era azoto, in quella inferiore olio LHM (un olio minerale secondo specifica PSA-B-712710 caratterizzato da potere anticorrosivo, resistenza ad alte temperature, elevata indice di viscosità e bassissimo punto di scorrimento). Caricando la vettura (attrezzature, paziente e 2 soccorritori) o in caso di fondo stradale sconnesso (come molte strade..) l’olio comprime l’azoto ma essendo questo totalmente incomprimibile, all’aumentare delle sollecitazioni si ha un irrigidimento delle sospensioni a vantaggio dell’azione ammortizzante.
Ci pensava poi il circuito idraulico mediante una pompa a pistoni ad autolivellare la vettura.
Anche il reparto freni era affidato al sistema idraulico grazie a un circuito sempre in pressione: al contrario del servofreno (che lavora a depressione, alleggerendo la forza da esercitare sul pedale per la frenata) sullo Squalo, premendo il pedale, si apriva una valvola che mandava olio in pressione alle pinze pertanto il pedale aveva una corsa molto corta e le frenate erano non sempre di facile gestione se non abituati alla sua guida. Altro vantaggio era rappresentato dai dischi montati entrobordo all’uscita del differenziale permettendo così la riduzione delle masse non sospese (tradotto: la risposta della sospensione a parità di variazioni del manto stradale è più rapida a vantaggio della motricità e del comfort dovuto alle minori sollecitazioni al corpo vettura) e un minore momento di inerzia (tradotto: maggiore manovrabilità del veicolo). Questi vantaggi però avevano come rovescio della medaglia una manutenzione più onerosa (anche la sola ispezione doveva avvenire alzando la vettura su un ponte)
Con una potenza frenante così improvvisa, il veicolo poteva arrestarsi improvvisamente e spegnersi pertanto il cambio era dotato di un sistema di disinnesto delle marce che evitava il problema.
A livello di vano sanitario, nulla a che vedere con i moderni mezzi di soccorso: all’interno ospitava solamente la barella, una valigetta di primo soccorso, una bombola di ossigeno, una barella cucchiaio, una steccobenda… Allestimento molto povero ma all’epoca il soccorso era molto più spartano di quello che si effettua oggi. Inoltre il paziente, se troppo alto, correva il rischio di non poter essere caricato così come i soccorritori erano abbastanza sacrificati all’interno del vano sanitario.
Ovviamente non è più abilitata da AREU per le emergenze così come per l’ASST per effettuare servizi di trasporto sanitario. Ma oggi, quando viene esposta, attira sempre molte persone grazie alla sua forte personalità: spesso chiedono informazioni sul veicolo, la sua storia, il suo lavoro e rimangono stupite quando vedono gli interni, soprattutto se a fianco c’è qualche mezzo moderno. Soprattutto chiedono se veramente si soccorreva in quello spazio ridotto… Per i bambini invece è la macchina di Ghostbusters!
Alla fine non possiamo che dire grazie per tutto quello che hai fatto all’epoca. Buon compleanno, Squalo!
Il pigreco indica il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro e, per semplicità, è approssimato a 3,14 che corrisponde alla data del 14 marzo scritto con il sistema anglosassone.
Attualmente il valore più alto di cifre calcolate è pari a 68,2 trilioni (scala corta) di cifre. Il team che si è impegnato a svolgere questo calcolo appartiene all’Università di Scienze Applicate di Graubunden in Svizzera. I ricercatori hanno impiegato 108 giorni e 9 ore per completare l’operazione…
Poichè PIGRECO è presente in molte leggi della fisica che ci circondano (Principio di Indeterminazione di Heisenberg, Legge di Coulomb, moto oscillatorio, flusso del campo gravitazionale,…), questa costante matematica regola le oscillazioni dei fenomeni fisici, che hanno frequenze definite da funzioni periodiche in cui la presenza del pigreco è fondamentale. Un errore nel calcolo, dovuto anche banalmemte a una sua errata approssimazione, può portare a risultati catastrofici come si può vedere nel video sotto riportato
Capita spesso su vari forum e sui social di vedere come risposta alla richiesta di soluzione di un problema “Togli il FAP e l’EGR!”. Ma cosa sono esattamente questi aggeggi? Iniziamo con il significato delle sigle: Filtro Anti Particolato e Exaust Gas Recirculation.
LA VALVOLA EGR
La valvola EGR viene utilizzata nei motori a gasolio e a benzina per abbattere le emissioni di ossidi di azoto (NOx). Ciò si ottiene reimmettendo nei cilindri una parte dei gas di scarico: in tal modo la temperatura di combustione si abbassa e di conseguenza la produzione di NOx. Il ricircolo deve essere controllato per limitarlo allo stretto indispensabile, altrimenti le prestazioni e la funzionalità del motore verrebbero compromesse. Per questo, si utilizza la valvola EGR, che modula il flusso dei gas esausti che vengono riaspirati. Tale dispositivo è controllato dalla centralina di gestione del motore e viene comandato mediante un attuatore pneumatico o, più spesso, elettrico, che varia il grado di apertura dell’otturatore della valvola in modo da ottenere la portata di gas richiesta.
IL FAP/DPF
Installato su tutte le vetture a partire dalla Euro4 alimentate a gasolio, ha il compito di intrappolare le micro particelle (PM10) e bruciarle, impedendo che possano poi volatilizzarsi nell’aria.
I gas passano attraverso il filtro, il quale intrappola le particelle in questione e, dopo un certo quantitativo intrappolato, le brucia per poi scaricarle a terra senza che vadano in dispersione nell’aria. La posizione tipica è a valle dei collettori di scarico (ci sono case automobilistiche che scelgono un’installazione più distante dal motore, più spostata verso i tubi di scappamento, altre che invece prediligono un posizionamento più prossimo al propulsore per sfruttare il maggior calore dei fumi e quindi bruciare meglio le particelle). La composizione del FAP è metallica, in carburo di silicio. La maglia è molto fitta e si compone di piccole celle che hanno la funzione di intrappolare il particolato. È importante evidenziare una differenza sostanziale: il FAP funziona grazie alla cerina, ovvero una sostanza che agevola l’aggregazione delle sostanza da bruciare (da sostituire ogni 80000km), mentre il DPF non prevede questo additivo. Per questo spesso viene erroneamente utilizzata la nomenclatura FAP per identificare tutti i sistemi di filtro antiparticolato. Il FAP raggiunge quindi la temperatura di circa 400 °C per bruciare le sostanze e ridurre le dimensioni delle microparticelle, espellendo poi il tutto dai tubi di scarico. Durante la marcia, quando il filtro raggiunge un predeterminato livello di saturazione, un iniettore speciale inietta gasolio nel circuito per facilitare la combustione, il regime del minimo si alza e le particelle PM10 bruciano (spesso si vede anche un incremento del consumo istantaneo di carburante e cambia leggermente il rumore del veicolo). FAP e DPF sono differenti solo nella tecnica di funzionamento. La cerina ha il compito di ridurre le temperature di combustione, facilitando però l’aggregazione del particolato, invece il DPF lavora a temperature molto più alte perché non si avvale dell’additivo.
COSA DICE LA LEGGE
È importante sapere però che l’art. 78 del Codice della Strada vieta espressamente modifiche alle caratteristiche costruttive dei veicoli. Quindi eliminare il FAP/DPF è illegale così come rimuovere l’EGR (valvola di ricircolo dei gas di scarico) o modificare la centralina delle vetture. Oltre a causare danni all’ambiente, chi viola la norma va incontro a:
multa da 431€ a 1734€;
ritiro della carta di circolazione del veicolo;
obbligo di ripristinare il FAP.
Quindi paghi per toglie per poi pagare la multa, pagare il meccanico per rimontarli e pagare la revisione del veicolo… Oltre ai fermi macchina imposti dalla sanzione… Soluzione perfetta!
Durante la pandemia COVID19 uno degli strumenti più menzionati è stato il saturimetro. Questo semplice apparecchio serve per sapere la quantità di ossigeno presente nel sangue che si è riusciti ad acquisire durante il processo di respirazione.
L’aria che inspiriamo attraverso la respirazione contiene il 21% di ossigeno. Durante il processi di inspirazione, il diaframma (il muscolo che separa la cavità toracica da quella addominale) si contrae e contemporaneamente i muscoli intercostali si contraggono e spingono in alto e in fuori la cassa toracica: all’interno della cassa toracica si crea una depressione e l’aria viene richiamata per compensare questa differenza di pressione (in poche parole i polmoni sono come dei palloncini non vincolati alla cassa toracica). Dopo essere entrata da bocca e naso, passa attraverso la faringe, la laringe, la trachea, i bronchi fino a raggiungere, infine, i polmoni. Quando l’aria giunge ai polmoni, a livello di alveoli polmonari avviene uno scambio gassoso grazie a cui l’ossigeno contenuto nell’aria inspirata entra nel circolo sanguigno, mentre l’anidride carbonica entra nel circolo dell’espirazione: il diaframma si rilascia assieme ai muscoli intercostali e i polmoni vengono compressi: l’aria in pressione tende ad uscire e, ripercorrendo in senso inverso le vie respiratorie, viene espulsa (vi è circa il 5% di anidride carbonica e il 16% di ossigeno residuo…).
I soccorritori, durante la valutazione ABCDE (Airways, Breathing, Circulation, Disability, Exposure) che si esegue sul paziente, posizionano l’apparecchio al punto B (dall’inglese Breathing=Respirazione) durante il quale si esegue OPACS (sigla che significa di Osservo, Palpo, Ascolto, Conto, Saturazione).
I valori possono essere così classificati
100%->96%: Saturazione ottimale
95%->91%: Saturazione sufficiente
90%->86%: Saturazione insufficiente
85% o inferiore: grave ipossia
L’emoglobina è la proteina che rende rosso il sangue. È composta di quattro catene proteiche, due catene alfa e due catene beta, ognuna con un eme a forma di anello che contiene un atomo di ferro al centro. L’ossigeno si lega in modo reversibile agli atomi di ferro e così viene trasportato attraverso il sangue. L’emoglobina è una straordinaria macchina molecolare che usa il movimento di piccole variazioni strutturali per regolare la sua azione. Nei polmoni, l’ossigeno che inaliamo si lega al ferro nelle molecole di emoglobina, questo fa sì che essa diventi di colore rosso vivo. L’emoglobina ossigenata, o ossiemoglobina, viene trasportata dai polmoni attraverso le arterie, nelle arteriole più strette e poi nei piccoli capillari. I capillari rilasciano l’ossigeno alle cellule dei tessuti, che lo utilizzano per produrre energia. Questo sangue ricco di ossigeno si chiama sangue arterioso. Quando l’emoglobina cede il suo ossigeno alle cellule cambia da rosso vivo a rosso scuro o bluastro/violaceo. L’emoglobina deossigenata viene trasportata ai polmoni attraverso le venule e le vene per raccogliere una nuova riserva di ossigeno. Questo sangue povero di ossigeno si chiama sangue venoso.
Il principio di funzionamento del pulsossimetro è quindi presto detto: sulla parte superiore che viene posizionata sul lato dell’unghia vi è una sorgente luminosa a due componenti, uno rosso visibile e uno infrarosso non visibile. Dalla porta opposta, sotto il dito vi è un fotorilevatore che capta la luce emessa dalla sorgente. In mezzo vi è il dito che funge da “resistenza”.
Conoscendo pertanto il valore di luce emessa e di luce rilevata e prendendo in considerazione solo la componente pulsatile (rappresentata dal sangue arterioso), l’apparecchiatura è in grado di calcolare il valore di saturimetria e il numero delle pulsazioni cardiache. La quantità di luce trasmessa attraverso i tessuti è quindi convertita in un valore numerico che rappresenta la percentuale di emoglobina satura di ossigeno.
Per questo il monossido di carbonio CO (che ricordo essere gas incolore, inodore e insapore, leggermente meno denso dell’aria ma soprattutto estremamente tossico), sostituisce rapidamente l’ossigeno nel gruppo eme, formando un complesso stabile chiamato carbossiemoglobina, 300 volte più stabile di quello formato dall’ossigeno e risulta è difficile da rimuovere. Questo abuso dei gruppi eme impedisce all’ossigeno di legarsi al ferro per essere trasportato ai tessuti, e può portare alla morte per soffocamento. Il monossido di carbonio inoltre non rende scuro il sangue pertanto e, in caso di ambiente con concentrazioni di CO superiori a circa 35 ppm, il paziente potrebbe presentare valori di saturimetria corretti letti dallo strumento che viene “ingannato”. Anche le unghie troppo lunghe sono un problema perché il polpastrello potrebbe non cade nel raggio d’azione del fascio luminoso che effettua la misura così come lo smalto o le unghie gel: gli smalti moderni non causano valori più bassi generalmente, ma è meglio toglierli mentre le unghie gel potrebbero generare falsi risultati dovuti alla formulazione del gel. Infine, le mani fredde: il freddo ha funzione di vasocostrittore e quindi il sangue scorre molto più lentamente nei capillari vasocostretti comportando una permanenza maggiore nel vaso sanguigno dove l’ossigeno continua a essere consumato dai tessuti che lo utilizzano, senza poter essere sostituito da una adeguata quantità di nuovo sangue ossigenato che arriva. Il pulsossimetro leggerà pertanto un valore inferiore a quello che è realmente trasportato nel corpo umano.
Leggendo il Corriere della sera sono incappato in questo articolo dal titolo “Fulmine colpisce un aereo diretto a Napoli: atterraggio d’emergenza a Bari, passeggeri illesi”
Riassumendo: un aereo di linea è stato colpito da un fulmine e ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza a Bari al posto che atterrare regolarmente a Napoli.
Iniziamo a dire che il cambio destinazione è avvenuto NON per problemi tecnici dell’aereo ma delle pessime condizioni meteo sull’aeroporto… poi che un aereo sia colpito da un fulmine non è un evento così raro: più o meno ogni 1000 ore di volo si ha questo evento. Ma questa situazione è pericolosa per la sicurezza aerea?
In prima battuta si può dire che l’aereo, essendo interamente metallico, funziona come una gabbia di Faraday (la superficie dell’aereo costituisce un involucro in grado d’isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente al suo esterno indipendentemente dalla sua intensità) quindi il fulmine è agevolato nello “scivolare” via e proseguire la sua corsa verso terra.
A livello elettrico può esserci il rischio che i fulmini danneggino la strumentazione elettronica a bordo ma i moderni jet commerciali, oltre ad avere sistemi ridondanti, hanno adeguate protezioni contro questi eventi. Dopo la rapida polarizzazione potrebbe essere quindi necessaria la ricalibrazione di qualche strumento come la bussola.
A livello strutturale è estremamente difficile che vi siano danni gravi in quanto, come detto prima, il fulmine scivola sulla struttura metallica esterna (o se in materiale composito, viene adeguatamente convogliata).
A livello fisico il fulmine genera calore quindi è abbastanza facile vedere qualche “abbrustolita” sulla superficie esterna nella zona di ingresso e di uscita del fulmine.
A livello dinamico il fulmine non influisce sulla capacità di volo dell’aereo, discorso diverso per le turbolenze (correnti d’aria ascendenti o discendenti responsabili di una variazione repentina della portanza, causando i tipici sobbalzi avvertiti dai passeggeri) che si creano all’interno della nube temporalesca che possono creare altri tipi di problemi…
A livello fisiologico umano, quelli più a rischio sono i membri della cabina che potrebbero avere cecità temporanea dovuta alla forte luce emessa dal fulmine ma nulla di invalidante e permanente.
Ma non si poteva passare sopra il temporale? La quota di crociera è di circa 11000m. I cumolonembi sono masse imponenti, di aspetto minaccioso, simili a montagne o torrioni a grande sviluppo verticale (limite inferiore della stratosfera, a quote dai 12000 ai 15000 metri) e sono le nubi che accompagnano manifestazioni temporalesche producendo sempre piogge e grandinate accompagnate da fulmini persistenti e da vento molto forte al suolo. Quindi non è possibile sorvolarle.
Chiaramente dopo essere stato colpito da un fulmine, aereo subirà un processo ispettivo a terra per verificare p’assenza di danni e garantire la sicurezza del mezzo prima del prossimo volo.
Per la cronaca, durante il decollo del razzo della missione Apollo 12, il vettore Saturno V fu colpito ben 2 volte dai fulmini a distanza di 16 secondi. La missione finì con l’allunaggio e il il rientro senza problemi per l’equipaggio.
Resta solo da spiegare come mai è stato richiesto un atterraggio di emergenza da parte del comandante. Questo avviene quando un aereo deve necessariamente atterrare in una zona o in aeroporto diversi da quelli stabiliti in origine, nel momento in cui si presenta una circostanza imprevista o un pericolo che mette a serio rischio l’incolumità dei passeggeri a bordo. Possono essere distinti in
atterraggio forzato: questo tipo di atterraggio è legato ad un guasto tecnico che costringe il pilota ad atterrare il prima possibile e nel primo luogo adatto disponibile. In questo modo il pilota evita che la situazione si aggravi mettendo a rischio la vita dei passeggeri;
atterraggio precauzionale: si verifica in seguito ad una situazione di pericolo di natura medica, tecnica, meteorologica o di sicurezza che spinge il pilota ad atterrare preventivamente per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente e si verifichino conseguenze peggiori.
Un approfondimento sulle procedure lo trovate qui su geopop.
Pertanto, essendo stato colpito da un fulmine e facendo prevalere le logiche della massima sicurezza e salvaguardia delle vite umane, avendo il dubbio che il fulmine possa aver creato qualche problema, è stato dichiarata l’emergenza.
Il tuo PC quanto realmente viene struttao? Quanti tempi morti ci sono durante la sua giornata lavorativa in cui rimane fermo a non fare nulla? E il tuo Smartphone? E se questi tempi morti delle macchine venissero utilizzati per realizzare qualcosa di utile?
Potresti pensare ad esempio di mettere a disposizione i tuoi device per il calcolo distribuito. L’università californiana di Berkeley ha messo in piedi il progetto BOINC, acronimo di Berkeley Open Infrastructure for Network Computing, che consiste nello scaricare un piccolo programma client e donare ai tanti progetti di ricerca scientifica (di cui voi decidete ai quale partecipare) la potenza di calcolo a vostra disposizione.
Il giochetto è molto semplice: da un server provengono i pacchetti dati da elaborare e le istruzioni di elaborazione, il vostro PC o Smartphone elaborerà tali dati e al termine ricaricherà al server i dati elaborati con il report di elaborazione.
Il vantaggio di aver creato un sistema di calcolo distribuito è presto detto: è più efficiente ottenere il livello prestazionale desiderato usando un cluster di diversi computer di fascia bassa, in confronto con un sistema non distribuito e non ci sono single point of failure (parte del sistema, hardware o software, il cui malfunzionamento può portare ad anomalie o addirittura alla cessazione del servizio da parte del sistema). Inoltre, un sistema distribuito può essere più facile da espandere e dirigere a confronto di un sistema uniprocessore monolitico.
Tramite BOINC potrete iscrivervi a un progetto oppure, utilizzando Science United potrete avere una consolle di controllo dei progetti su tutti i device in cui avete installato il BOINC.
Infine, il programma potrà diventare anche un simpatico e colorato screensaver per PC che mostrerà le vostre elaborazioni.
Qui sotto riporto l’elenco dei progetti aggiornato ad oggi. Io contribuisco dal lontano 2002, quando assieme ad alcuni compagni di studio in università avevamo iniziato ad aderire al progetto World Community Grid, voi a quale progetto aderirete? Scrivetemelo nei commenti e ditemi cosa ne pensate
A volte dover partecipare a fiere del settore comporta la realizzazione di concept o nuovi prodotti destinati al mercato di riferimento. Per il ForumPiscine 2022 l’azienda per la quale collaboro mi ha permesso di realizzare ARPI.
ARPI è un avvolgitore telo che, in questa sua prima release è stato realizzato solo in versione manuale ma è già predisposto per la realizzazione della sua versione motorizzata.
La semplicità: questo è il motivo per cui ha una forma quasi geometrica. Deve essere semplice da realizzare ma allo stesso tempo deve essere gradevole alla vista. Per dare ancora più importanza a questa caratteristica, oltre che a far si che fosse resistente alla corrosione dell’ambiente tipico della piscine, ho fatto ricorso all’anodizzazione conferendo un aspetto colorato ma elegante (personalmente la versione che preferisco è quella blu!).
Su richiesta dell’azienda è stato inserito nel taglio la scritta stilizzata del gruppo
Un importante passo avanti rispetto a quanto finora realizzato dall’azienda consiste nell’adozione di materiale composito: il rullo avvolgitore è stato realizzato in fibra di carbonio permettendo di ottenere a rigidità strutturale unito a un peso pari a 1/5 rispetto all’acciaio. Non meno importante la totale assenza di corrosione del carbonio.
Resta solo la parte “marketing”… come chiamarlo? Dopo vari tentativi andati a vuoto si accende la lampadina: questo prodotto cos’è? Ed a cosa è destinato? da qui la risposta: ARPI è l’acronimo di Avvolgitore Residenziale Per (coperture) Isotermiche.
In fase poi di stesura della brochure informativa è nato anche il logo particolare che è riportato qui sotto che richiama la “geometria” delle linee dell’avvolgitore stesso…
Dimenticavo: quest’anno, complice l’emergenza pandemica COVID-19, c’è stato un momento in cui la fiera sembrava dovesse essere annullata e, complice questa situazione, non tutti i materiali erano reperibili in tempo utile. Il prototipo fiera pertanto presentava qualche peccatuccio veniale (rullo di diametro inferiore rispetto a quello definitivo, qualche pezzo stampato 3D,…). Tutto però verrà presto sistemato con la sua completa industrializazione!
Adesso siamo già proiettati allo sviluppo di nuovi prodotti da presentare alla prossima fiera
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