LA SICUREZZA IN PISTA

In un’epoca dove spesso a farla da padrone è lo spettacolo (e citando anche una famosa canzone…. “show must go on”) spesso si tende a rendere eroi personaggi che non lo sono affatto, soprattutto quando questi infrangono le regole.

Indipendentemente dalla mia fede Ducatista ritengo che in un’azienda seria (e il motomondiale è alla fine un’azienda) ci devono essere delle regole e queste regole, che piaccia o no, vanno rispettate. Negli ultimi anni invece c’è stata una confusione nei regolamenti e una lentezza a prendere le decisioni che un bradipo a confronto è rapido.

Nel gran premio di Catalogna per una motivazione che non è ancora chiara, Fabio Quartararo ha deciso di togliersi il chest protector e di proseguire gli ultimi giri con la tuta slacciata. Tutti a gridare all’eroe del giorno che ha sfidato la velocità (e le moderne motoGP hanno dimostrato di raggiungere i 350km/h) e ha tagliato il traguardo.

Bene, bravo MA…. perché c’è sempre un ma: se nei giri finali fosse caduto? Cosa sarebbe successo impattando con il terreno (o peggio ancora contro la moto)? Avremmo un pilota che sarebbe ko… tutti saremmo a gridare allo scandalo del non averlo fermato prima. In più, per toglierselo, lo ha gettato in pista il che costituisce un elemento di pericolo per chi sopraggiunge dopo di lui, specialmente se restava in traiettoria.

Il regolamento (che trovate qui) in fondo al punto 2.4.5.2 recita “L’attrezzatura deve essere indossata, correttamente allacciata, in ogni momento durante l’attività in pista.” Questo vuole dire che Quartararo stava violando le regole pertanto la Race Direction aveva il dovere di fermarlo immediatamente (non dico squalificarlo ma almeno indirizzarlo subito al box per rimpiazzarlo).

Facendo così la Race Direction ha creato un precedente molto pericoloso perché non punito ma soprattutto ha dimostrato di non saper prendere una decisione importante in tempi rapidissimi.

Capisco che il pilota è un animale da pista, che si gioca il mondiale e che uno zero pesa parecchio sulla classifica ma resto dell’opinione che la sicurezza dei piloti viene prima di qualsiasi altra cosa, soprattutto se poi ci tocca piangere su una tomba

AGGIORNAMENTO…

Fabietto, fai poco lo scemo con queste foto… non c’è da scherzare sulla sicurezza e ricorda che ti è andata bene, pensa se ti mollava la gomma e andavi per terra con la tuta aperta (e magari restava impigliata in qualche appendice della moto)

LA SMARTPOOL

La Smartpool (o piscina autosufficiente) è un progetto speciale realizzato in occasione di Forum Piscine 2020 a Bologna e coordinata dal collega Ing. Mario Giovannoni che ha permesso all’azienda per cui lavoro nel momento in cui scrivo questo post di inserirsi in questo contesto di auto sostenibilità (qui l’articolo dal sito ansa.it)

Smartpool (immagine per gentile concessione dell’Ing. Mario Giovannoni)

L’idea (in poche parole e in maniera estremamente semplice) è quella di avere una piscina che parte dal raccogliere l’acqua piovana per il reintegro di quanto si disperde, passando dai pannelli solari per riscaldare l’acqua e generare energia elettrica per muovere i componenti elettrici fino ad arrivare alla copertura isotermica per ridurre la la perdita del calore accumulato e lo spreco di prodotti chimici disciolti in vasca.

IL MIO CONTRIBUTO

Come azienda ho avuto modo quindi di dover realizzare oltre alla classica copertura di tipo AGS (acronimo di Above Ground Sistem) anche un rivestimento speciale per coprire l’impianto di movimentazione della copertura a profili rigidi.

L’impianto realizzato (immatricolato 2020-0000) è stato realizzato in questo modo:

  • Sistema di avvolgimento e supporti rullo realizzati in acciaio inox AISI316L che conferisce all’impianto adeguate caratteristiche meccaniche. I componenti sono inoltre sottoposti a trattamento finale di decapaggio e passivazione certificato ASTM 967 per garantire un’ottimale resistenza alla corrosione;
  • Copertura vasca a profilo cavo colore bianco ghiaccio e tappo di finitura in PVC contenenti componenti antiurto (deve resistere agli eventi atmosferici avversi quali improvvise e violente grandinate) e resistente ai raggi UV (è esposta al sole per almeno 8 mesi all’anno);
  • Motore esterno 24Vcc con grado di protezione IP68 (protezione totale contro l’ingresso di polveri e adatto per un’immersione permanente in acqua), ricordo che l’alimentazione a basso voltaggio è una delle caratteristiche di sicurezza dettato dalla norma Norma CEI 64-8 degli apparecchi destinati alle vasche e montati nelle zona 0 e zona 1;
  • Centralina di controllo Polimpianti PRO con telecomando (sviluppata anch’essa come prototipo e presentata presso la fiera);
  • Copertura meccanismo di avvolgimento realizzata con struttura in lega di alluminio serie 6000 e rivestita in Polideck® color Montana (materiale polimerico resistente agli urti, ai raggi UV e al cloro anche se immerso completamente in acqua)

Struttura della copertura impianto Above Ground System disegnata con SolidWorks
Copertura finita disegnata CAD dell’impianto Above Ground System
Realizzazione della copertura Above Ground System in officina
Installazione dell’impianto Above Ground System e della copertura sulla Smartpool presso la fiera
Con il collega Ing. Giovannoni in fiera alla presentazione della Smartpool

L’IMPORTANZA DELLA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE

Normalmente non scrivo mai di quello che faccio come volontario in ambulanza (Fai del bene e scordatelo, fai del male e pensaci) ma ogni tanto mi sembra giusto parlare di primo soccorso quando lo scopo vuole essere nobile.

Ho deciso di pubblicare questo articolo di giornale de “La Prealpina” di qualche tempo fa non tanto perché è presente il mio nome e quello dei miei colleghi in turno (poteva essere chiunque della mia associazione) quanto per sottolineare che il fratello era già impegnato a fare la rianimazione cardiopolmonare.

Partendo da fatto che sono un semplice soccorritore (e che il mio percorso di studi è basato sull’ingegneria e non sulla medicina!) la rianimazione cardiopolmonare (o RCP) è una manovra non invasiva che può essere eseguita da chiunque quando ci si trova di fronte a una persona che ha perso coscienza e ha smesso di respirare (sottolineo che devono mancare entrambe le cose!!).

LA CHIAMATA AI SOCCORSI

Quando una persona è incosciente occorre verificare la presenza di coscienza e di respiro: con le mani afferratela per il bacino e scuotetela dolcemente mentre la chiamate a voce alta. Nello stesso tempo verificate il torace della persona: se questo non si solleva o se vedete il cosidetto gasping (un boccheggiamento caratterizzato da una riduzione estrema della frequenza degli atti respiratori che è da considerare respiro NON efficace) la persona è in arresto cardiorespiratorio. Occorre immediatamente avvisare il sistema di emergenza chiamando (o facendo chiamare) il 112 o utilizzando l’app “112 Where ARE U

112 Where ARE U è un’app che permette non solo la geolocalizzazione del cellulare sfruttando il GPS ma permette di conoscere già chi sta chiedendo aiuto e, qualora fosse necessario, attivare i soccorsi (ambulanza, forze dell’ordine o vigili del fuoco) con senza dover chiamare (pensate ad esempio un caso dove non è possibile parlare come una rapina in corso o un caso di violenza domestica).

L’app è disponibile per cellulari Apple o per cellulari Android, è gratuita e una volta scaricata occorre aprirla per registrarsi (tranquilli che nessuno vi contatterà mai per vendervi nulla o per disturbarvi!). Fatto questo si spera di non doverne mai fare uso…

IL MASSAGGIO CARDIACO

Allertato il sistema di emergenza, si inizia con la RCP. Lo scopo della manovra, detto in maniera becera, è quello di creare una battito cardiaco artificiale. In questo momento il cuore, per cause che non sta a me approfondire, non è in grado di pompare il sangue (siamo in condizione di morte clinica). Se non si riesce ad alimentare le cellule con sangue ossigenato e sostanze nutritive nel giro di 4-6 minuti, le cellule soffrono e poi muoiono (condizione di morte biologica)
Per fare un paragone immaginate di dimenticare la vostra auto con il motore in moto in un parcheggio: se c’è carburante il motore continuerà a funzionare, quando la benzina sta finendo il motore perderà colpi finché, esaurito il carburante, il motore si spegnerà senza possibilità di ripartire.

Il cuore, sempre banalizzando, immaginatelo come una spugna (in effetti il cuore è composto da 4 cavità, le due superiori chiamate atri, le due inferiori chiamate ventricoli). Il cuore è posizionato al centro del torace (non a sinistra come molti credono!) e rimane tra lo sterno e la colonna vertebrale. Premendo per 6 centimetri il cuore viene “strizzato” e il sangue fluisce nelle vene e nelle arterie. Rilasciando completamente il cuore si riempie nuovamente. questa manovra va eseguita per 30 volte con una frequenza di 1 compressione ogni mezzo secondo (pari a 120 compressioni al minuto, per farvelo ricordare meglio ricordatevi il tempo della canzone “Stayin’ Alive” dei Bee Gees che guarda caso tradotto significa “restare vivi”).

Terminate le prime 30 compressioni guardate in bocca al paziente: se ci fosse qualcosa che potrebbe ostruire le vie aeree cercate di rimuoverlo ma senza mettere le mani in bocca (c’è il rischio di contatto con liquidi biologici infetti quali sangue o vomito e soprattutto rischiate di non liberarle le vie aeree ma di spingere verso la gola il “blocco”)

Niente aria? Una volta si faceva la respirazione artificiale: questa però è possibile quando abbiamo un dispositivo che ci protegge (face shield, pocket mask) ma in periodo COVID19 è stata tassativamente abolita questa tecnica per ovvie ragioni. Da studi condotti risulta infatti che, comprimendo il torace, una quantità di aria arriva ai polmoni e, anche se non è tutta quella che serve, un minimo di aiuto lo da.

A questo punto avete allertato (o fatto allertare) il 112, avete eseguito le prime 30 compressioni, avete verificato che le vie aeree non fossero bloccate. Riprendete quindi senza mai più fermarvi le compressioni sempre con una frequenza alla Stayin’ Alive, 6 centimetri in giù a “strizzare” il cuore e 6 centimetri in su a “far assorbire il sangue” al cuore finché non arrivano i soccorsi. Fermatevi solamente se il pazienta presenta segni di ripresa del respiro o inizia a muoversi (e interfacciatevi con il 112 che potrà darvi indicazioni!)

CONCLUSIONI

Ora, per quanto possiamo essere veloci, tra il tempo 0 in cui il paziente va in arresto cardiaco e il tempo finale T in cui arriva il mezzo di soccorso difficilmente passano pochi secondi: da qui l’importanza di diffondere quanto più possibile alla popolazione la cultura del soccorso e insegnare le tecniche di RCP. Avendo così una rete capillare di persone addestrate a queste manovre (che ripeto, possono essere effettuate da chiunque!) si potrà cercare di abbassare quel numero di 60000 morti all’anno (o se preferite 1 ogni 1000 abitanti) per morte cardiaca improvvisa.

Chiunque fosse interessato ad imparare queste tecniche può contattare le associazioni di ambulanze più vicine e chiedere informazioni sui corsi (che nella maggioranza dei casi vengono erogati gratuitamente).

Nota finale: questo articolo è stato scritto in modo da far capire a chi non è del “mestiere” con esempi e termini quanto più semplici possibili il funzionamento delle manovre e della loro importanza. Non me ne vogliano quindi medici, infermieri, colleghi istruttori o anche semplici soccorritori di qualsiasi associazione che dovessero imbattersi in questo articolo e ritengono la spiegazione non esaustiva o troppo semplicistica. Resto comunque sempre a disposizione per un confronto costruttivo sull’argomento.

RICORDI…

Esattamente 4 anni fa ero in un’altra azienda, periodo prima di Pasqua e necessità secondo il progetto KAIZEN (magari in futuro scriverò un post su cos’è il kaizen ma vi assicuro che non è una parolaccia!) di dover rivoluzionare completamente l’azienda nel suo layout… E per velocizzare il tutto nessuno è stato escluso da dare una mano quindi ecco a voi l’ingegnere mulettista 🙂

Chi ha detto che che non sono un uomo d’azione?

MAI SMETTERE DI SOGNARE…

Ovviamente il mio portafogli non me lo permette ma perché non provare a partecipare a un concorso dove, con un po’ (tanta!) fortuna si può vincere un viaggio sulla luna?

SEGNALE ANALOGICO O DIGITALE?

La scheda presenta degli ingressi Analogici (da A0 a A5) e degli ingressi Digitali (da 0 a 13). Ma che differenza c’è tra segnali analogici e digitali?

Prendiamo una grandezza fisica (ad esempio la velocità del vento). Per misurarla ci serviremo di un anemometro. All’aumentare del vento il nostro anemometro fornirà un segnale elettrico che risulterà proporzionale alla velocità del vento. Se questo valore è continuo e può assumere infiniti valori nel suo campo di misura il segnale verrà definito analogico.

Esempio di segnale analogico

Se ciò che emette il segnale invece può assumere soltanto un numero definito di valori allora il segnale si chiamerà digitale. Il numero discreto di valori che assume il segnale analogico è dato sempre dal numero di bit del segnale (2bit). Se consideriamo per esempio 1 solo bit, il nostro segnale avrà 21=2 perciò sapremo solo se non c’è vento (valore 0) o se c’è vento (valore 1). in questo caso si parla di segnale binario.
La scheda arduino, essendo a 8 bit, potrà assumere 28=1024 valori.

Segnale Binario
Segnale Digitale a 2 bit (sinistra) e 3 bit (destra)

Ma come faccio a convertire un segnale analogico in digitale? l’operazione si chiama campionamento: si misura il segnale analogico in diversi istanti temporali T. Il suo inverso 1/T viene chiamata frequenza di campionamento. La corretta frequenza è data dal teorema del campionamento di Shannon-Nyquist ovvero la frequenza con cui si campiona deve essere maggiore di almeno 2 volte la frequenza del fenomeno da misurare, pena una ricostruzione errata del segnale analogico.

“Per una trattazione più approfondita degli argomenti si rimanda ai sacri testi scientifici” (come diceva sempre un professore)